Terapia Centrata sul Cliente ed esperienze traumatiche


 

… siamo più saggi del nostro intelletto, i nostri organismi, come un tutto, hanno una saggezza e un’intenzionalità che vanno ben oltre il nostro pensiero conscio.” 

                                                                                                                                                                                                                         Carl R. Rogers

 

 

 

Quando abbiamo a che fare con traumi complessi allora nasce l'esigenza di affrontare un percorso psicoterapeutico che solitamente è lungo e impegnativo. La possibilità d'integrare la Terapia Centrata sul Cliente di Carl Rogers con Somatic Experiencing®  di Peter Levine ci permette di offrire un solido contenitore che supporti la persona vittima di traumi di questo tipo nel lungo e faticoso percorso di recupero di uno stato di equilibrio e benessere.


Benché Rogers non tratti di traumi e di PTSD (categoria sviluppata solo in anni successivi), descrivendo il processo di crollo e disintegrazione del concetto di sé egli ci mostra come si sviluppa fenomenologicamente il processo dissociativo, cioè come l’individuo, per proteggersi, non simbolizzi e integri le esperienze troppo minaccianti ed incoerenti col proprio concetto di sé. La dinamica traumatica ha uno sviluppo molto simile a quello che ritroviamo nella sua teoria della personalità; scrive infatti Rogers: “se l'individuo ha un grande o significativo livello di incongruenza tra il sé e l’esperienza e se un'esperienza significativa ma incongruente con la struttura del sé accade improvvisamente, o con un alto grado di evidenza, allora il processo di difesa dell'organismo non è in grado di operare con successo” (Rogers, 1959).

 

Un importante stato dissociativo sembra avere spesso a che fare con un’esperienza di attaccamento disorganizzato[1] e possiamo anche considerarlo “come il segno di una rottura primaria nei processi intersoggettivi che normalmente producono un senso del sé coerente e integrato” (Liotti, 1999 a). Di fronte quindi ad una forte minaccia per il sé (maltrattamenti, abbandoni, relazioni affettive fortemente disfunzionali, ecc.) nel bambino si sviluppa facilmente uno stato dissociativo.

Ma la dissociazione è un processo che si attiva non solo in presenza di traumi complessi, ma che si può sviluppare in forma più o meno grave, anche durante esperienze traumatiche da shock, come ad esempio incidenti, aggressioni, interventi chirurgici, ecc.

Rogers descrive la dissociazione come atta a salvare e proteggere l’integrità del sé, cioè a mantenere un livello di congruenza (cioè di accordo interno tra le parti del Sé) accettabile, che comunque permetta di sopravvivere all’angoscia e al caos interno, come ricorda ancora Joseph: “Esperienze che sono incongruenti con la struttura del Sé sono, scrisse Rogers, subcepite come minacciose e non permettono di essere simbolizzate con precisione nella coscienza. La negazione della consapevolezza della coscienza è un tentativo di mantenere la percezione dell'esperienza coerente con la struttura del Sé”. (Joseph, 2004).

 

Il forte accento che la Terapia Centrata sul Cliente pone sulla qualità della relazione terapeutica, le qualità della persona del terapeuta, e le altre condizioni facilitanti, è determinante per poter favorire lo sviluppo della capacità di autoregolazione e autoguarigione dal trauma. Questo è anche confermato da alcune ricerche che evidenziano come “(…) talvolta la sola qualità e stabilità della relazione terapeutica può contribuire potentemente ed autonomamente alla risoluzione delle patologie in atto” (Giannantonio, 2005).

Il forte, profondo e costante senso di sicurezza che il cliente traumatizzato ha bisogno di provare nel setting terapeutico deve venire in gran parte dall’esperienza relazionale col terapeuta, dal contatto umano con lui, caldo, comprensivo e totalmente accettante delle più spaventevoli esperienze del cliente, come dice anche Rogers: “(…) gli effetti dell’ascolto empatico, dell’accettazione e molto anche della congruenza del terapeuta ha sul cliente un effetto rassicurante e protettivo” (Rogers, 1961). Ma deve anche essere costruito attraverso una costante attenzione al vissuto organismico globale del cliente e alla capacità del terapeuta di favorire importanti processi di scarica e riequilibrio funzionale.

 

Sono profondamente convinto della necessità d’integrazione metodologica, nella clinica dei traumi, tra la Terapia Centrata sul Cliente (T.C.C.) e altri approcci, come ad esempio l’Emotion Focused Therapy di Greenberg[2], ma anche con approcci che abbiano specifici strumenti di lavoro sulla neurofisiologia dei clienti. Un’integrazione che non significa snaturare o impoverire la T.C.C., quanto piuttosto arricchirla e potenziarla attraverso la possibilità di fare specifici interventi, in alcune fasi del processo di recupero e integrazione delle memorie traumatiche, che facilitino l’autoregolazione del cliente aiutandolo a depotenziare alcuni sintomi e sensazioni traumatiche.

 

In accordo con Rogers (numerosi i suoi riferimenti ai cambiamenti corporei durante il processo terapeutico) e con Eugene T. Gendlin quando afferma che deve accadere qualcosa nel corpo per poter parlare di cambiamento (Gendlin, 2010), da diversi anni utilizzo, in particolari casi e in alcune fasi del processo terapeutico, i principi e le modalità di Somatic Experiencing (S.E.). Sempre di più nella mia esperienza clinica osservo che il contatto col Sé più vero e profondo, col Sé organismico di cui parla Rogers[3], avviene facilitando nel cliente non solo il contatto con i suoi vissuti emotivi ma anche quello con la sua corporeità, corporeità che s’intreccia con le emozioni e ne è piena espressione[4]. Abbiamo il compito di favorire nel cliente questo graduale processo, ma per farlo dobbiamo prenderci il tempo di rallentare, a volte di fermarci, per sentire che succede nel corpo, ascoltare con un atteggiamento di non giudizio, di curiosità e di rispetto.

 

Nonostante la complessità mi sono sempre più chiare le possibilità terapeutiche di quest’approccio somatico di lavoro sul trauma (Somatic Experiencing) e la possibilità di una fruttuosa integrazione con la T.C.C.. Nella nostra pratica clinica “esiste una focalizzazione intensa e continua sul mondo fenomenologico della persona che è davanti a noi. Siamo impegnati a seguire il suo costante flusso esperienziale - sentimenti, emozioni, pensieri, ecc. - per come lo esprime il cliente e per come si presenta a noi. E non di meno la nostra attenzione va anche al suo "sentire", e a come percepisce le sue sensazioni corporee, considerando queste ultime come aspetti fondamentali del vivere di una persona, espressione dei suoi modi-di-essere nel mondo.”  (Dazzi, 2010).

 

Considero il lavoro di Peter Levine profondamente in linea con i principi della Terapia Centrata sul Cliente e credo offra interessanti possibilità d'integrazione con essa e soprattutto la possibilità di sviluppare in termini terapeutici quella dimensione che Rogers non ha sviluppato ma che egli stesso considerava centrale nell'approccio alla persona 'incongruente'. L'approccio che ha Somatic Experiencing  favorisce un processo di riappropriazione del proprio ‘sentire’ corporeo e quindi facilita l'integrazione tra l'esperienza organismica più profonda e vera – un’esperienza vissuta a livello corporeo ma spesso non consapevole - e l'esperienza cosciente. E questo attraverso un metodo che lascia ampio spazio alla capacità di autoregolazione e autodirezione del cliente e all’espressione della sua energia vitale.

 

Il principio che guida S.E., in questo del tutto aderente alla visione di Rogers, assume il naturale e vitale processo interno di autoregolazione presente in ogni individuo che, se messo nelle opportune condizioni, sa dove andare per ritornare verso un maggior contatto con se stesso e con il proprio nucleo organismico originario (Levine, 2002).

Il sentimento di profonda fiducia che pervade quest’approccio, produce un atteggiamento terapeutico orientato ad un profondo, costante e attento ascolto del cliente, considerato guida e fonte per la nostra conoscenza dei suoi processi interni. Ascolto che diviene soprattutto attenta osservazione dei segnali e dei processi corporei con lo scopo di accrescere la conoscenza della ‘fisiologia’ della persona che ci sta davanti, per poterne seguire il movimento e favorirne il potenziamento e la capacità di autoregolazione.

 

La corretta reintegrazione dell’esperienza traumatica avviene prendendo contatto soprattutto con la propria esperienza emotiva e corporea e non solo con la dimensione logica e culturale – quindi cognitiva - considerata da Rogers una ‘sovrastruttura’[5], cioè qualcosa di costruito sopra l’esperienza viscerale, esperienza più vera e radicata nel sé della persona (Rogers e Kinget, 1970).


Occorre fare molta attenzione a non favorire il processo di ricordo dell’evento traumatico senza prima aver costruito adeguatamente le condizioni di sicurezza e di contatto con le proprie risorse personali. Secondo le ultime ricerche un approccio che favorisca un contatto con le memorie e le emozioni legate all’evento traumatico senza prima fare questo specifico lavoro risulta non efficace, anzi probabilmente ‘peggiorativo’ della condizione interna del cliente, caratterizzata solitamente da un alto livello di stress interno (anche se non sempre percepibile). Il contatto profondo con le proprie emozioni è, nella nostra visione, fortemente curativo e favorisce il processo d’integrazione, ma l’esposizione del cliente alle emozioni traumatiche rischia, nella maggior parte dei casi, di avere l’effetto opposto, cioè di fargli esperire ancora una volta una condizione di frammentazione, terrore e impotenza che non può gestire. Il primo obiettivo è sicuramente aiutare il cliente a reintegrare l’esperienza traumatica e restaurare un nuovo concetto di sé, più aderente all’esperienza, ma qual è la sua prima esperienza se non quella che egli vive nel suo corpo mentre rivive il trauma. Se non diamo supporto a questo la persona verrà facilmente inondata e si congelerà nuovamente perdendo anche fiducia e sicurezza nel processo terapeutico.

 

L'obiettivo, attraverso alcune modalità specifiche di S.E., è quello di facilitare questo processo favorendo un avvicinamento graduale e controllato alla memoria traumatica mentre diventa sempre più agevole l’accesso alle proprie risorse personali (interne ed esterne)[6]. Tutto questo attraverso una serie di esperienze basate sulla consapevolezza delle proprie sensazioni  corporee (il felt sense[7] ), per permettere al corpo di tornare verso una condizione di equilibrio dinamico e di autoregolazione. Per questo motivo la nostra attenzione va anche alla sua attivazione corporea e alla sua  neuro-fisiologia.

 

Fare questo tipo di ‘esperienze organismiche’, che coinvolgono profondamente e interamente, può aiutare a scaricare l’eccesso di attivazione (la forte tensione interna) che viene accumulato nel S.N. durante un’esperienza traumatica.

Stiamo parlando quindi di favorire un percorso di progressivo contatto e consapevolezza con la propria corporeità per riscoprirne la ‘saggezza’ e le capacità di autoregolazione. La persona che ha vissuto esperienze particolarmente traumatiche viene aiutata a regolare il proprio Sistema Nervoso, cioè a sviluppare uno stato di resilienza che può essere perfino rinforzato rispetto a prima.

 

Come accennavamo poco sopra, lavoriamo con le sensazioni corporee percepite (il felt sense), sensazioni che hanno una funzione organizzatrice dell’esperienza. Ma lavoriamo anche con tutti gli altri elementi esperienziali del cliente: le immagini, le emozioni e i significati. Il cliente diviene gradualmente e pienamente consapevole di quell’esperienza che è stata per lui scioccante ed inizia ad integrarla nel proprio Sé.

 

Il grande rischio, durante alcune fasi della terapia, è che la persona si senta attirata nel ‘vortice’ del trauma senza potersi proteggere e possa riviverlo in tutta la sua frammentante potenza. Questa infatti è una delle caratteristiche del trauma: se il cliente si avvicina troppo (al ricordo, alle emozioni e sensazioni) varcando un certo limite, si riattivano i vissuti traumatici con tutto ciò che questo comporta, senza poter più fare nulla per proteggersi e diviene vittima di una ri-traumatizzazione. Questo è quello che vogliamo evitare e anzi cerchiamo di contenere (a volte anche in modo deciso) questa naturale riattivazione.

E’ un processo che si svolge su un sottile confine, ma pian piano che il lavoro procede la resilienza cresce e il vortice traumatico e la sua potenza diminuiscono. Quello che facciamo è facilitare un’apertura ma restando sotto il limite oltre il quale il fiume in piena potrebbe rompere gli argini. Quindi procediamo molto lentamente, a piccoli passi, con una sorta di ‘procedimento omeopatico’.

Non cerchiamo solo di favorire il ricordo e la comprensione dell’evento traumatico, in modo controllato e graduale, ma pure di facilitare il ripristino dell’equilibrio neurofisiologico che è stato sopraffatto durante l’esperienza traumatica. Non lavoriamo solo sul contenuto, ma anche sull’attivazione somato-psichica del cliente, cioè con i suoi processi corporei.

 

Nella nostra visione umanistica confidiamo che la direzione della guarigione sia quella del cliente, ma questa capacità di autodirigersi sembra venir meno nel momento in cui egli rivive l’esperienza traumatica. Spesso non c’è nessuna direzione, nessuna possibilità, se non quella di essere bloccati e congelati nell’impotenza. Per questo di solito le persone non sono emotivamente in contatto con l’esperienza traumatica, perché si confondono e si perdono.

 

 

 

Note:
[1] Come ipotizzato da diversi autori, ad es. Main M. e Morgan H. (1996), Liotti G. (1999), van der Kolk B. A., McFarlane A. C. e Weisaeth L. (2004).

[2] In particolare sono efficaci i principi e le modalità della EFTT (Emotion Focused Therapy for Trauma) sviluppata dalla Paivio a partire dalla EFT, che danno un grande contributo nella direzione di una maggior efficacia, essendo anche una terapia dei traumi validata empiricamente.

[3] Rogers fa spesso riferimento all’esperienza corporea e viscerale del cliente e alla sua fisiologia, parla di “qualità viscerale dell’apprendimento esperienziale” (Rogers, 1983) e in diversi altri passaggi si sofferma sull’esperienza corporea del cliente durante il processo terapeutico (Rogers, 1970).

[4] Anche Antonio Damasio scrive in questi termini: “Il fondamento dell’esperienza di sé è radicato nella capacità di identificare e utilizzare le sensazioni fisiche” (Damasio, 1999)

[5] Rogers riferendosi allo stato di disaccordo interno delle persone, si esprime proprio con queste parole: "(…) Questa dissociazione, che esiste nella maggior parte di noi, costituisce il modello e la base di ogni patologia psicologica del genere umano e il fondamento di tutta la patologia sociale." (Rogers, 1978)

[6] Risorsa è tutto ciò che ci permette di avere una condizione di profonda sicurezza, connessione e benessere, cioè qualunque esperienza che ci aiuti a mantenere un senso coerente di noi stessi e un’integrità interna.

[7] Il felt sense, concetto sviluppato da Gendlin (Gendlin, 2010) e ripreso da Levine (Levine, 2002), è tutto ciò che ha a che fare con sensazioni corporee percepite, “è l’impressione corporea olistica, implicita, di una situazione complessa” (Gendlin, 2010, pag. 68).





 

 

 


“Gli eventi traumatici esigono un tributo sul corpo così come sulla mente. (...) L'attenzione al corpo spesso manca nel trattamento del trauma, d'altra parte alcune terapie con un approccio 'solo corporeo' omettono l'importanza di una integrazione psicologica. Entrambi gli aspetti non possono essere trascurati. Il trattamento del trauma deve considerare la persona intera ed integrare l'effetto del trauma sia sul corpo che sulla mente.”

 

                                                                                                                                                                                                                   B. Rothschild

 


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